Essere capaci.

Si pensa sempre al saper fare (saper fare il medico, il giudice, il politico, il padre, il giornalista). Mai a quanto si può contenere. Un serbatoio, una vasca hanno una capacità. E l’essere? Se con capacità si cercasse di intuire quante grandezze puoi contenere? Quanto impossibile quanto sconosciuto quanto mistero quanto sovrumano quanta trascendenza? Un essere non può contenere solo norme, potrebbe cominciare ad avere in sé “l’enorme”, ad allargare uno spazio che non riguarda solo i fatti, il reale, la cronaca, le leggi, i bisogni. Perché davanti a drammi apparentemente altrui si deve tacere quest’oltre? E se insieme ai diritti del malato esistessero i doveri del “sano”, di chi ha paura di accettare “esistenze diverse”, “vuoti pieni di differenza”, altre comunicabilità, “corpi non previsti”, “stati altri”? Siamo corti. Conteniamo volumi (sapere di scienza) ma non volume (conoscere ben altro). Se avessimo il dovere di entrarci dentro per sentire che la nostra idea di vita, di bellezza (fotto di chi sorride, lavora, ha successo), di salute, di famiglia, di realizzazione, di economia, non può essere unicamente dettata da una dignità che non riesce a definire solo la Costituzione, la ricerca o un’unica fede? (Alessandro Bergonzoni)

Obiettivi:
riabilitazione motoria
riabilitazione delle funzioni cognitive
riabilitazione dei disturbi del linguaggio
riabilitazione psicologica

FONDAMENTALE. Ma può bastare?

Il malato entra in ospedale per la riabilitazione. Il giorno prima di stare male era un “uomo sano, normale” e da tutti veniva riconosciuto così, soprattutto da se stesso.
Il giorno dopo, tutto diventa nero.
Non parla e non si muove, ammutolito dalla diagnosi, dal trauma…

Inizia un nuovo percorso ma si trova di fronte ad un bivio.
Una strada lo porta a sentirsi e ad essere trattato da malato.
L’altra strada lo porta a ricominciare, nella malattia, un nuovo percorso come uomo.

Nella prima strada incontra medici e operatori che curano pezzo per pezzo gli esiti della sua malattia, che si occupano delle sue gambe che non si muovono, della sua parola che non esce più come prima, dei suoi problemi con i numeri, del suo ragionamento e della sua consapevolezza. Osservazione, valutazione, trattamento.

Nella seconda strada incontra medici e operatori che si prendono cura di lui. Incontra persone che non hanno paura della sua diversità e lo accolgono prima di tutto come persona tra persone. Incontra medici e operatori che riconoscendo il valore della propria vita, riconoscono il valore della sua e glielo sanno comunicare. Si trova ad avere a che fare con operatori ognuno dei quali ha il suo ruolo specifico (chi si occupa delle gambe, chi delle braccia, chi del cervello, chi della parola), ma tutti sinergicamente lo considerano INTERO unico e irripetibile. Riconoscono in lui sentimenti e ri-sentimenti, rispettano il mistero della sua vita e del suo attuale dolore. Hanno come obiettivo la riabilitazione funzionale specifica, ma soprattutto fanno squadra tra di loro e con lui perché credono che in qualsiasi situazione si possa ricominciare. Insomma si trova di fronte ad una strada in cui l’obiettivo è la consapevolezza che in ogni stato di sofferenza c’è chi non smettere di credere e di cercare creativamente il modo di ricominciare.

Quale strada scegliereste se capitasse a voi?

Francesca Vannini